Conclusioni: la condizione amoderna


1. I due volti dell'epos

Il lettore che mi ha seguito fino a questo punto lo avrà ormai compreso: la condizione postmediale non è una fantomatica epoca neo-medioevale di estinzione dei media. Al contrario: essa nasce da un accumulo quantitativo dei media, il cui risultato ultimo è stato un salto qualitativo: a partire dagli ultimi due decenni del ventesimo secolo e in un processo tuttora in corso, i media in quanto dispositivi riconoscibili all'interno dell'esperienza sociale sono stati via via deindividuati, fino a sparire all'interno di una rete di apparati, di processi e di pratiche quotidiani che rendono impossibile isolare le componenti mediali da quelle non mediali.

Abbiamo visto come l'avvento di una simile condizione postmediale sia stato e sia accompagnato da tre grandi racconti epici, la cui analisi ha costituito l'ossatura di questo libretto. Il primo dei tre grandi epos postmediali è quello della naturalizzazione della tecnologia: esso racconta l'avvento di una nuova generazione di apparati tecnologici non più opposti come nel passato alla naturalità dei soggetti che li adoperano e del mondo che li circonda, ma al contrario capaci di generare un meta-mondo natural-culturale; la stessa storia dell'evoluzione umana va dunque ritracciata come epos di una interazione ininterrotta tra téchne e bíos, che ha portato allo sviluppo simultaneo di corpi e strumenti. Il secondo epos consiste nella soggettivazione dell'esperienza e narra l'intero campo dell'esistenza in quanto rappresentazione al tempo stesso soggettiva, soggettivizzante e condivisibile: quanto vivo e sento momento per momento è "mio" e mi costituisce in quanto soggetto ma, al tempo stesso, è una rappresentazione che posso condividere con altri nello stesso istante in cui la vivo io – allo stesso modo in cui posso io stesso ri-vivere in un regime di simulazione incorporata le esperienze altrui.

Abbiamo definito il terzo epos la socializzazione del legame relazionale: la condizione postmediale è attraversata e vitalizzata in questo caso dalla narrazione del farsi e disfarsi di reti, gruppi, comunità sociali, incessantemente impegnati a costruire, verificare, distruggere, ricostruire legami di fiducia e di condivisione reciproche – e, al tempo stesso, incessantemente impegnati a sentirsi vivere tali legami e tali eventi mediante una serie articolata di autorappresentazioni riflessive.

2. La decompressione dello spazio e del tempo

È possibile tuttavia considerare i tre grandi racconti epici propri della condizione postmediale anche da un altro punto di vista. Come abbiamo affermato più volte, le tre grandi forme epiche della postmedialità si oppongono tanto alle forme propriamente romanzesche quanto a quelle mitologiche. Rispetto alle prime, l'epos ambisce, infatti, a un respiro totalizzante e fondativo, fa riferimento a uno sfondo universalmente condiviso di saperi e di valori, si pone come spazio e strumento di trasmissione sociale e culturale di una "saggezza" diffusa. Rispetto alle forme del mito, d'altro canto, l'epos costituisce un meccanismo di fondazione narrativa del senso di tipo non polemico: se il mito nasce (secondo la ben nota definizione strutturalista) per risolvere un problema etico o scientifico attraverso un racconto, l'epos nasce a partire da una soluzione già individuata e attuata delle tensioni di fondo che animano una società, e nasce anzi proprio per narrare l'evento di tale soluzione.

3. Vivere la condizione amoderna

Ho definito "distinte" le due analisi dei tre epos propri della postmedialità che ho disegnato nei precedenti paragrafi; aggiungo ora che esse non mi sembrano opposte e neppure inconciliabili. Non si tratta in realtà né di optare per l'una o l'altra prospettiva, né di tentare una sintesi tra le due, quanto piuttosto di tenerle presenti entrambe contemporaneamente, in una reciproca trasparenza, al fine di tentare una lettura strategica dei fenomeni in atto.

Vorrei dare solamente un esempio di tale lettura ritornando sulla crisi delle istituzioni educative e formative cui accennavo alla fine del precedente capitolo. tende, come abbiamo visto, a privare di ruolo e legittimità le istituzioni formative tradizionali: queste appaiono, infatti, per un verso inadeguate nel trasmettere quei saperi operazionali essenziali per muoversi nell'universo postmediale, e per altro verso incapaci di assumere il ruolo paritetico tra i partner dello scambio educativo proprio delle relazioni in rete. A prima vista insegnanti ed educatori non hanno molta scelta: essi possono o arroccarsi nella difesa dei propri saperi, dei propri metodi e dei propri ruoli, oppure all'opposto cedere e uniformarsi al nuovo panorama, sposando i metodi paritari propri della rete e puntando nel proprio insegnamento a promuovere l'acquisizione di tutte quelle competenze operazionali così utili nell'universo contemporaneo.